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04 | HA SENSO?

Lead Story

Mi sento incompreso. Mi sembra di remare contro una corrente che prima o poi mi porterà via. Mi sorge perfino il dubbio che le persone più vicine a me, i miei amici più stretti, mi stiano incoraggiando a portare avanti questo progetto solo per vedermi felice. Ogni tanto ho il dubbio che non ci credano davvero, che Jacopo alle Olimpiadi non ci andrà mai, chissà quando lo capirà pure lui.
Certe volte mi sento solo nella sfida.

In quest’ultimo periodo sto vedendo il mio progetto perdere consistenza, sbriciolarsi.
Provo a spiegare meglio. E’ come se mi stessi rendendo conto soltanto ora che sto facendo qualcosa fuori tempo, fuori contesto, fuori budget, fuori tutto rispetto a ciò che mi circonda, al mondo in cui vivo e alle persone intorno a me, che nel bene o nel male condividono la mia vita e sono influenzate dalle mie scelte.

Questa sensazione va avanti da un po’, complice l’infortunio alla tibia, ma nelle ultime settimane si é amplificata. Percepisco attorno a me una sorta di attesa perché questo progetto strano finisca e torni tutto alla normalità.

C’è un pensiero che gira e rigira nella mia testa, che si manifesta prepotentemente ogni volta che mi fermo a riflettere. In questi anni sono passati tanti treni ed è oggettivo che io sia arrivato spesso tardi, di corsa, perdendone una gran parte. Mi domando se quando contava io mi sia ispirato al modello sbagliato di ragazzo. Quello che cerca di fare bene tutto, perché la società gli ha insegnato questo, senza dedicare anima, corpo e risorse all’inseguimento di un sogno tanto forte.
Tradotto in altre parole: se vuoi andare alle Olimpiadi e vincere devi dedicare la tua fottuta vita allo sport. Come Ingebrigsten, come Tamberi.

Ecco perché – forse – ci sono così pochi ingegneri meccanici che hanno corso alle olimpiadi (Daniele Meucci, hai tutta la mia stima da uomo e atleta per avermi mostrato l’eccezione a questa affermazione).

Poi, c’è un’altra parte di me che – nel bene o nel male – prova a darsi una risposta differente. E pensa che undici anni (da quella semifinale ai mondiali U18) sono tanti, troppi. E in undici anni se fossi stato un campione o un atleta élite, l’occasione per brillare ed essere pagato per correre sarebbe arrivata. È statistica, i numeri non sbagliano. Lo so perché il mondo è fatto e governato da numeri. Invece dopo undici lunghi anni sono qui, con un solo titolo italiano, zero medaglie assolute, senza maglie azzurre dal 2015, a rincorrere chi puntualmente corre due o tre secondi più forte di me.

Forse riducendo lo zoom intravedo un altro Jacopo, quello che rincorre i treni quando i suoi avversari prendono l’aereo.

Forse non sono quell’atleta così forte che può andare alle olimpiadi. Sono solo un ragazzo normale che è arrivato fin qua perché ha la testa dura, si è allenato come un dannato e negli anni ha sacrificato sempre di più tutto ciò che aveva per rosicchiare ogni decimo possibile.

Forse, tutto questo rosicchiare e sacrificare perde di significato perché non è più in armonia con ciò che sta attorno, con le persone che amo e con cui condivido la vita.

Sembra contraddittorio da dire, ma fa male convivere con l’evidenza che per portare avanti questo sogno sto sacrificando tanto tempo con la mia famiglia, sto perdendo per strada delle amicizie e soprattutto sto ritardando una buona parte dei progetti di vita con Gaia. Tempo che nessuno mi darà indietro.

Fa male chiedere a Gaia di ritardare i suoi sogni o di adattare i suoi progetti al mio ritmo. So benissimo quanto questi siano importanti per lei (e anche per me). Eppure non riesco a identificare cosa sia più giusto.
Mi domando se sono troppo egoista e allo stesso tempo mi domando se per arrivare là dove voglio dovrei esserlo ancora di più. Non ho una risposta.

Se penso che tra poco tutta questa parte del mio mondo finirà – le emozioni, l’adrenalina, gli allenamenti estenuanti, la fatica, l’alto livello, la competizione, la ricerca del limite – sento paura e vuoto. Sono terrorizzato dall’idea di ritornare ad essere un ragazzo normale, di non provare più quelle emozioni che per me sono vita.

Ho fatto un errore molto grande negli ultimi mesi. Mi sono concentrato troppo sugli allenamenti, senza dare il giusto peso alla parte economica di questo progetto. Anzi, per essere più preciso, ho scommesso tutto sul mio corpo convinto che il sostegno economico sarebbe stato una diretta conseguenza dei risultati eccellenti di questo 2024. Peccato che il mio corpo mi abbia tradito.
Questa è cattiva gestione. In parte (piccola) dovuta al brancolare da solo nell’inesperienza di questo mondo di sponsorizzazioni e soldi, in parte (grande) dovuta al mio adagiarmi sulla situazione.

Tutto ciò mi fa arrabbiare, ma a posteriori non serve a nulla.

That’s life. Sometimes it’s magic, sometimes hurts.


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