jacopo peron a braccia aperte durante il training camp a Valencia

10 | TRAINING CAMP

Lead Story

Valencia Training Camp. Dicembre. Quando il Sole fa capolino arriviamo a 20°C. Una goduria.

Sono qui da inizio mese per un training camp di tre settimane al caldo. Torneremo a casa poco prima di Natale, lo stesso giorno in cui la mia Gaia rientra dagli USA (finalmente, non la abbraccio da ottobre!).

Era da una vita che non andavo in raduno per fare un periodo di lavoro interamente dedicato agli allenamenti. Scollegarsi dalla vita quotidiana per concentrarsi completamente sull’obiettivo. Sembra banale ma fa una differenza enorme. Qui, le distrazioni quotidiane semplicemente scompaiono e la mia giornata può ruotare ancora di più attorno all’atletica. Tutto molto semplice: allenamento, cibo, riposo, allenamento, cibo, nanna. Ah, ogni tanto scrivo.

Fine.

Qualcuno, prima di partire, mi ha detto: Buona vacanza. Ci sto ancora riflettendo, ma non credo sia la definizione giusta. In due settimane ho visto la pista, il Jardin del Turia per le mie long run e la strada tra casa e gli allenamenti.
Nothing else. Ah, ho mangiato una paella sabato sera. Si gode con poco.

Dicembre per me è un mese estremamente delicato. Da un lato possiamo vederlo come piena fase di carico, con allenamenti lunghi, intensi e di costruzione. Dall’altro lato è un punto di non ritorno per la preparazione, in cui un infortunio o uno stop hanno conseguenze grosse (buttare via la stagione indoor).

E’ bello condividere le giornate intere con i miei compagni di allenamento. Piano piano stanno diventando i miei amici. Strano, per come sono fatto. Peso con attenzione tutte le relazioni e non è semplice stringere un’amicizia nel vero senso della parola. Con loro è diverso. Forse perché stiamo condividendo la rincorsa ad un sogno, forse perché ci siamo ritrovati ad essere i ragazzi e le ragazze giuste, nel momento giusto, in un gruppo che ha il suo equilibrio e funziona in perfetta sincronia.
Sono felice di tutto ciò. Credo che sia un forte boost per le nostre performance.

Domenica era giorno di riposo dagli allenamenti. Loro sono andati al mare, io sono rimasto a casa a recuperare, a dormire e a scrivere perché la stanchezza accumulata durante la settimana era davvero troppa.
È successo qualcosa di strano: mi ha assalito una malinconia profonda, mi veniva quasi da piangere e mi sentivo solo. A volte capita e, quando è così, mi sento un po’ diverso dagli altri. Non so dare una definizione più precisa e dettagliata. E’ una sensazione astratta che non so tradurre in parole.

Forse succede perché vedo loro spensierati in questo progetto di vita e di sport, in una fase di vita diversa dalla mia. Forse succede perché sto inseguendo un sogno che sembra più grande di me e tutto ciò mi spaventa. O forse è semplicemente la mancanza di Gaia.
Quando G è così lontana, i pensieri neri si aggrovigliano, diventano densi, umidi e restano lì, fermi, immobili, pesanti. Lei ascolta le mie parole con tatto, scava con gentilezza nella mia anima per cercare tutto ciò che non dico e lo porta via con sé. E’ una carezza dolce che placa anche le onde più alte.

La amo.


Durante questo training camp spagnolo sto sperimentando la fatica, in tutti i sensi. Forse è la combinazione del lavoro accumulato nei mesi precedenti con il viaggio e la nuova routine. Dal terzo giorno ho iniziato a sentirmi stanco, muscolarmente e mentalmente.

A questo si aggiunge un problema al bicipite femorale, spuntato il mercoledì prima di partire.
Durante una sessione di speed endurance insieme a Vladi Aceti (che, per la cronaca, mi stava tirando il collo sui 60m), al sedicesimo sprint, il muscolo si è contratto. Da allora non è completamente a posto. Alcuni giorni va meglio, altri mi crea qualche fastidio. Riesco comunque ad allenarmi bene, ma le prove ad alta intensità mi mettono in difficoltà, e questo mina la mia serenità.

jacopo peron che fa fatica

C’è una differenza abissale tra allenarsi a mente libera, sentendo il corpo in piena efficienza, e farlo con quel campanello d’allarme costante, che ti costringe a ponderare ogni gesto. Sei sempre in bilico su quella linea sottile che divide la performance dall’infortunio. Non è semplice. Ogni giorno devi scegliere: spingere un po’ di più o restare prudente? Basta un attimo per compromettere settimane di lavoro. Eppure, fa parte della vita di un atleta.

Non possiamo pensare di portare il corpo al limite senza che prima o poi protesti. Accettare questa realtà non significa rassegnarsi, ma imparare a gestirla e a convivere con quella tensione che, paradossalmente, è anche la nostra forza.


Il 18 gennaio farò il mio esordio indoor ad Ancona, in un meeting Challenger del World Indoor Tour. E’ passato un anno intero dall’ultima vera gara. Un intero fottuto anno. Non serve dire quanto desidero rimettermi in gioco. Da luglio conto le settimane e i giorni. Prima era un’attesa tranquilla, sfocata dall’immensità di giorni che mi separava da gennaio ’25. Ora tutto si sta concretizzando e sento l’elettricità.

Inizio a percepire quella tensione che noi atleti conosciamo bene. Delle piccole farfalle nello stomaco che iniziano a svolazzare. Cosa provo? Un desiderio di riscatto immenso. Voglio dimostrare a me stesso e a chi lavora quanto è potente ciò che abbiamo costruito. Siamo di nuovo forti ma ci è voluto tanto tempo. Un tempo fatto di pazienza e di piccoli traguardi giornalieri per rimettere insieme tutti i cocci.

Voglio farlo per i coach di ULTRA, che hanno abbracciato il mio progetto per portarmi lassù, voglio farlo per il mio amico Robi Severi che mi ha raccolto da terra quattro anni fa quando non ero quasi più un atleta e mi ha rimodellato con la sua energia, la sua scienza e quel desiderio di emergere; lui che continua ad essere in pista con me anche se non stiamo più lavorando insieme. Voglio farlo per Gaia, che è tutto in questo progetto e voglio farlo per mamma, papà e Sofi.

Non aggiungo altro. Parlerà il cronometro.

Una cosa è certa: siamo in pista e mi sto divertendo come un matto!


#1 Sono felice. Sto costruendo un legame forte e sincero con i miei allenatori, specialmente in questo training camp dove viviamo insieme tutto il giorno. Non è scontato trovare persone capaci di ascoltare con empatia, che si mettono in gioco per alimentare il tuo progetto. Percepisco in loro lo stesso fuoco che ho dentro di me. Il nostro dialogo è sempre aperto e autentico, nei giorni buoni e in quelli difficili. Questo è un punto chiave per la performance che vogliamo raggiungere.

#2 Da agosto ho cambiato approccio sui social, cercando di usarli in modo professionale, come dovrebbe fare ogni atleta. Non è semplice. Richiede tempo, competenze e pazienza. A volte è demoralizzante rapportare l’impegno al risultato, ma nel lungo periodo vedo qualche frutto: i miei profili crescono, la qualità dei contenuti migliora e qualcuno inizia a notarlo.

#3 Dal primo dicembre sono anche un atleta sponsorizzato Garmin. Non male. Ho lavorato sodo per questa sponsorizzazione. Ore spese a preparare presentazioni, fare call, scrivere mail. Mi merito una pacca sulla spalla, sono stato bravo.


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